mercoledì 9 ottobre 2013

Perché viaggiare in autobus è frustrante

Questa di oggi è stata una giornata faticosa, una di quelle su e giù, giù e su e alla fine sei sempre lì. Una di quelle frustranti, e la mia giornata di solito diventa frustrante quando sono costretta a viaggiare con treni, ma, soprattutto, con AUTOBUS.

Viaggiare con l'autobus:
Ti ritrovi alla fermata, sudato, perché hai ingurgitato il tè, ti sei sciacquato i denti mentre ti lavavi le mani, hai dimenticato di chiudere la porta a chiave perché nel frattempo aprivi l'ombrello, hai messo i calzini spaiati, forse hai anche corso, ma l'autobus, imperturbabile, arriva pian piano sempre-alla-stessa-ora con quella calma snervante.
Una volta salito, hai quasi la sensazione di essere di fronte ad un "sistema passeggeri" compatto, come se fossero un gruppo chiuso e selezionato, non tanti individui, ma un insieme uniforme, per far parte del quale devi tirartela un po' e fingere che viaggiare in autobus, a te, non ti scuota proprio. Una serie di facce spente e prive di comprensione nei confronti del tuo affanno, ma che, poco segretamente, amano poter essere loro, adesso, a commiserare te, ultimo arrivato, affannato e frustrato.
Sei sopra al mezzo da poco e ancora non ti accorgi di far parte di un universo parallelo, in cui la fretta non serve a nulla, né serve a nulla continuare ad agitarti nel tentativo di cercare le precise monetine per il biglietto, che la mattina avevi accuratamente preparato (dopo mesi che conservavi le monetine più inutili per questo momento). Frughi con disperazione nella borsa per cercarle, e ripensi a quando hai deciso di non farti il caffè pur di avere il tempo di preparare le monetine, per esser certo che, all'ingresso del fatidico mezzo, nulla si intromettesse tra te e il successo nel rito di iniziazione del biglietto. Il sistema passeggeri ti guarda con sospetto, ma, finalmente, ci sei. Hai il biglietto in mano, sei sull'autobus, e senti che tutta la tua corsa contro il tempo è effettivamente servita a qualcosa. O almeno, questa è la prima impressione che hanno quasi tutti i passeggeri nel primo minuto di viaggio.
Dal secondo minuto di viaggio, ti rendi però conto che nel primo minuto vi siete spostati non più di 100 metri, e che una vecchietta ritardataria ha inseguito l'autobus dalla fermata a cui anche tu sei salito, riuscendo a raggiungerlo e a farlo fermare. Forse con la vecchiaia ci si fa davvero più furbi.
Ora che ti sei fatto un'idea della velocità a cui procede la corriera, ti adagi nella rassegnazione e nel primo sedile libero, entrando definitivamente a far parte di quel sistema passeggeri, apparentemente privo di ogni funzione vitale. Vi si trovano persone con sguardi fissi verso l'infinito scorgibile dal finestrino, altre con la bocca aperta e lo sguardo vacuo, altre deprimersi nell'ascoltare musica triste.

Viviamo in una società che usa denaro come moneta di scambio solo in apparenza, perché è il tempo il vero bene prezioso da offrire o ricevere. Il denaro lo ottieni se hai tempo da dedicare al lavoro, più tempo ci dedichi maggiore è il denaro che guadagni.
Sull'autobus, per tornare a lui, tutto si ferma. Ognuno di noi, messo su un autobus, è uguale a tutti gli altri, perché il tempo che impiega l'autobus è uguale per tutto il sistema passeggeri, e nessuno di loro ha il potere di cambiare la velocità del viaggio.
Per questo è frustrante, perché siamo abituati a poter controllare ogni cosa, anche il nostro stesso tempo, e poi ti ritrovi sbattuto lì, sull'autobus, impotente, a dover aspettare, ed è una cosa che non siamo più capaci di fare. E' come se venissi inghiottito da una nuvola soffice e ovattata chiamata "tempo morto" che ti tiene sospeso a mezz'aria. Muovi muovi le tue gambine, ma non serve a niente, perché è la nuvola che ti sostiene, e non ti lascia andare.
Ed ecco allora che, non avendo nulla da fare, le persone, per la prima volta, si fermano a pensare. Sono costrette a farlo, sono costrette a rimuginare sull'infinito fuori dal finestrino, a fare i conti col proprio dolore, anche al carissimo costo di apparire tristi, quasi un sacrilegio al giorno d'oggi.

Arrivi alla tua fermata. Ti ricomponi, rimetti indosso lo scudo, e sei catapultato fuori di nuovo nella sfuggente realtà di un mondo che non si ferma mai, in cui dovrai correre per lavorare di più, per guadagnare di più per avere i soldi sufficienti per comprare il tempo di fare ciò che realmente ti piace.

Ecco perché, quando posso, preferisco andare a piedi.

lunedì 7 ottobre 2013

Vita quotidiana

Our share of night to bear,
our share of morning,
our blank in bliss to fill,
our blank in scorning.

Here a star, and there a star,
some lose their way.
Here a mist, and there a mist,
afterwards, day!

(Emily Dickinson)