domenica 27 dicembre 2015

Noi che rimaniamo a ricordare

"Parevano soddisfatti dei rischi che avevano corso,
o forse nemmeno ci pensavano,
era la norma avvelenarsi con i gas di scarico,
rischiare di cadere scivolando sui binari,
essere travolti da un'auto, dal tram, dal bus."

(D. Starnone)


Per tutti i ragazzi persi in un battito di ciglia
Oggi come ieri
Nell'oscurità di una notte
Nell'oscurità dell'asfalto
Ma, soprattutto, per quelli che rimangono
A ricordare
Per non smettere di pensare

Opera di Francesco Bongiorni

sabato 26 dicembre 2015

Nuovi occhiali per miopi

Non m’innamorerò.
Forse,
probabilmente,
anzi è certo che no.

Sbadata visuale in bilico di una strada,
piatto di insalata lasciato a metà,
calata serranda,
ghigliottina di luce
sulle teste degli astanti d’agosto
nelle camere di acerbi alberghi,
fumo di un momento sui divani,
suono di volante,
non ci sono più i ladri cortesi di una volta.

Non m’innamorerò,
né perderò la testa,
già reclamata da un datore di ore,
gli presterò nuovi occhiali per miopi,
abusati condoni sulla schiena,
italiana premura
contro una guerra dura a morire,
ed io, che avevo disertato,
non lascerò la più sanguinaria trincea,
al tuo fianco starò contro l’assedio
dei giorni,
delle rughe,
di rampanti agenti di borsa,
di nuovi conquistadores
e di vetusti evangelizzatori,
non ci avranno le regole,
né ci avrà il Maharaja,
né la morte adusa a non chiedere

- questo dovrei dirti?
L'orizzonte, il mare, i maledetti poeti,
eh già.
E che altro, poi?

Sarà l'inerpicata inerzia di un vivere
a soffocarmi nelle fotografie con troppa luce,
sarà un bisogno di male assoluto
a capovolgere ogni mia previsione,
ma vedi,
io sono un pessimo oracolo.

giovedì 24 dicembre 2015

Society


"And you think you have to want more than you need
Until you have it all, you won't be free"


Auguri di Buon Consumo 2015

domenica 20 dicembre 2015

Omaggio agli occhialuti archivianti

Occorre davvero darsi un nome,
Categorizzare ciò che ci sfugge davanti agli occhi,
Appiccicare etichette in fronte al caos,
Incasellare l'arcobaleno in una striscia di vetro,
Rendere omaggio agli occhialuti archivianti
annoiati nel suddividere, ridimensionare, elencare, ordinare, scartabellare mucchi di fogli e di firme?
È così necessario dare una copertina e un titolo al libro di una vita,
Ritagliando sui bordi sfumati dei ricordi
di quando hai richiesto la ricevuta di ritorno per una lettera mai spedita?
E' doveroso motivare l'affitto di energie dal fondo speranza,
Specificare la ragione di azioni irragionevoli,
E contare i giorni di ordinata follia,
Prima di invecchiare e perdere quel contegno sociale che ci riserva di nasconderci in mezzo agli altri,
Prima che qualcuno racconti com'eravamo
e ci trasformi in mosse numerate di una pedina nera?

Opera di Intarsiatore: http://www.ioarte.org/artisti/Intarsiatore/opere/dal-caos-ma-non-per-caso-nasce-cosa/

giovedì 17 dicembre 2015

Running up that hill


"There is thunder in our hearts, baby.
So much hate for the ones we love?
Tell me, we both matter, don't we?"

Placebo

mercoledì 16 dicembre 2015

Gravità

Ma, tra tutte le forze,
sia benedetta la gravità,
che sempre ci riconduce a terra,
che impedisce di farci volar via inseguendo domande troppo ultime,
stelle che rilucono nelle fredde notti dell'aurora.
Sia benedetta la gravità
perché è per essa che il salto è possibile,
la caduta è esperienza
e il rialzarsi è impresa non divina,
ma umanissima.


lunedì 14 dicembre 2015

The worth

"To act on a bad idea
is better than to not act at all,
because the worth of the idea
never becomes apparent until you do it."

domenica 13 dicembre 2015

Troppe parole

"Possiede troppe parole per trattenere il mondo accanto a sé
e annaspa
e scopre di continuo che il mondo è pieno di buchi
se non di voragini."

 D. Starnone


venerdì 11 dicembre 2015

Il bello della verità sta nelle bugie

La bellezza delle bugie.
Ognuno di noi mente. Sempre.
Diciamo almeno un centinaio di piccole bugie al giorno,
anche senza rendercene conto.
Attraverso di esse, cerchiamo di plasmare la realtà,
per renderla un pochino più simile a come ci piacerebbe che fosse.
Le bugie sono quel tipo di bellezza di cui si può usufruire solo in solitario.
Soddisfacente, ma egoisticamente vuota.

Forse allora la bellezza sta nella verità.
Nella nuda verità,
(o nella nudità del vero!)
spogliata
da tutti gli abbellimenti che ci ricamiamo sopra, 
perché è lì
che giacciono le vere emozioni.
La verità ci regala
le emozioni più piene,
quelle profondamente legate alle radici della nostra mente.

Ma sì, e, poi, le bugie sono fragili,
prive di quella base di legami affettivi reali,
e la loro debolezza non fa che allontanarci
da ciò che sentiamo davvero.
Crediamo che tengano lontani gli altri da ciò che non vogliamo mostrare,
ma, in realtà, tengono solo lontani noi stessi da ciò che temiamo di vedere.
Sono involucri di plastica
che ci rendono opachi dall'esterno
e ci soffocano dall'interno.
Belle bugie, letali bugie.

Eppure la verità canta con voce rauca,
a volte spreme il succo di frutti amari,
non è arricchita dalla magia dell'illusione
come una bellissima poetica bugia.
Una bugia è un angolo buio in fondo alla stanza
dove qualsiasi cosa può celarsi,
finché rimane misteriosamente sconosciuta.
E' il potenziale di ciò che non si conosce e che tutto può diventare
o il potere di trasformare ciò che non si vuole accettare.
E' l'unica bacchetta magica di cui disponiamo
l'unico potere magico con cui ci giostriamo.

Il bello della verità sta nelle bugie...
e il bello delle bugie sta nella loro verità.


giovedì 10 dicembre 2015

La vita è un vizio che non riesci a toglierti

"Ciò che conta è la data di nascita,
questa marcatura temporale
che nessun travestimento,
nessuna chirurgia,
nessuna terapia,
nessuna pillola miracolosa
può veramente cancellare.
La data dell'inizio.
Di cosa, poi.
Di tutta questa agitazione.
Di questo afferrare, apprendere, fare, dire, connettere, sconnettere.
La vita è un vizio che non riesci a toglierti."

Domenico Starnone

martedì 8 dicembre 2015

L'assassino e il burlone

"In ultima analisi,
la psicologia dell'assassino e del burlone differivano solo in termini di grado.
Erano entrambi dei sadici,
entrambi avevano il gusto del grottesco e provavano piacere ad infliggere dolore agli altri.
Il delitto poteva essere definito una forma estrema di beffa;
per contro una beffa poteva essere considerata una forma di delitto socialmente accettabile."

(J. F. Bardin)

lunedì 7 dicembre 2015

Sperperare il nudo nome delle cose

Prendete ogni speranza
voi che scendete
negli inferi
della vostra mente,
ogni illusione, ogni sogno,
perché risalendo
a vedere le decadenti stelle
possiate sperperare
il nudo nome delle cose,
e le cose,
e tutto ciò che amate.

(Cardiopoetica)
Foto di Sara Palmonari


domenica 6 dicembre 2015

Ama il tuo sogno

"Ama il tuo sogno,
disprezza ogni altro amore,
tu ama il vento
e imprimiti nel cuore che solo il sogno esiste
ecco perchè, in ogni notte,
in sogno vengo a te."
(La tigre e la neve)

dal film La tigre e la neve

venerdì 4 dicembre 2015

Delusione

"Ma, alla eccezionale maturazione,
si accompagnò anche una dura delusione: a dispetto di quel lussureggiante spettacolo
di forme e di colori,
non un solo frutto si rivelò mangiabile."
(Lovecraft)


giovedì 3 dicembre 2015

Felicità

Felicità.
Parola dal suono stretto e sottile, nel suo cominciare,
quasi che non sappia come occupare il suo spazio vitale.
Nel mezzo, magra e sfuggente;
ma, nel terminare, si lascia andare,
con un'apertura decisa e tronca,
quasi che si allarghi d'improvviso
in un inaspettato sorriso.

Cronache dal Bagno #4

In un angolo vicino alla finestra, un vaso giallo. Contiene piante veramente finte, che fingono di voltarsi verso la luce esterna.

Vicino alla porta, un porta-ombrelli nero. Viene usato come pattumiera, nera.
Che degrado per quel povero portaombrelli. Chissà quanto invidia il vaso di piante finte, che, almeno, ha un'identità integra, che nessuno osa mettere in discussione. Il portaombrelli ha sempre supposto che sia quell'aria da vaso antico in stile amaro Montenegro che lo rende così stimato e temuto, tanto che nessuno mai gli si avvicina. Nessuno va a disturbarlo sbatacchiandolo di qua e di là per poi rovesciarlo fin dentro un bidone grigio che puzza di cibo avariato.

Il vaso giallo non se la può immaginare neanche l'invidia nera della pattumiera nera, perché il suo desiderio più grande è sempre stato quello di essere una pattumiera. Magari gialla, ma una pattumiera. Non ha mai desiderato nient'altro più tenacemente, da quando è stato salvato in extremis da un bevitore di Montenegro e poi abbandonato in questa silente sala d'aspetto.
Almeno, come pattumiera, otterrebbe le occasionali attenzioni di qualcuno.

Avete la benché minima idea di quanto si possa sentire abbandonato un vaso di piante finte? No?
Pensateci. Voi spolverate mai i vasi di piante finte? Li spostate forse per dare più luce alle piante finte? O anche solo li avvicinate mai per annaffiare le piante finte che contengono? No, ve li dimenticate, giustamente. Figuriamoci in una sala d'aspetto.
Eppure, da studi compiuti in prestigiose (e annoiate) facoltà americane, è stato scoperto che anche i vasi hanno una sensibilità. Anche i vasi vorrebbero delle coccole, settimanalmente. La piramide salutare del vaso richiede una coccola a settimana, due sguardi al giorno, qualche grattino mensilmente e massimo mezzo bicchiere di pioggia a pasto.

Il vaso giallo si sente trascurato. Al suo proprietario le evidenze scientifiche in merito alle necessità psicofisiche dei vasi non sono ancora giunte.
Difficile per il vaso stabilire se mai avrà considerazione da qualcuno. Per cui, nel frattempo, invidia la pattumiera, che, almeno ogni tanto, viene in qualche modo maneggiata. Non sa che non si tratta di una vera pattumiera, ma di un portaombrelli, la cui identità viene perennemente misconosciuta.
Sa solo che, dal suo punto di vista vasico, l'amore è quello. L'amore è il distratto proprietario che, al venerdì sera, un po' schifato, prende il portaombrelli alias pattumiera e lo svuota nel puzzolente cassonetto dall'altra parte della strada.

Il vaso giallo non sa neanche che il proprietario è una donna bianca. Sta seduta là, dietro la scrivania grigia.
Che età avrà? Difficile dirlo, ha il viso rifatto.
Chissà cosa pensa quando guarda il vaso che il suo amico bevitore di Montenegro le regalò. Difficile dirlo, ha perso la mimica facciale da tempo. E, da tempo, prova anche invidia per le piante finte. Fin da quando, nel negozio di arredo, ha sentito la necessità di averle per sempre vicine alla sua scrivania grigia.
Loro, almeno, sono nate finte. Sono nate senza mimica facciale e sempre rimarranno senza età, senza rughe, -e senza sentimenti-, aggiungerebbero le piante finte, se avessero mimica facciale per parlare.

Chissà, forse, le piante finte invidierebbero anche la donna finta, se avessero un cuore. Almeno, lei, ce l'ha avuta la libertà di scegliere se rimanere veramente viva, o se diventare fintamente meno morta.
Loro, in realtà, non sono neanche mai nate, né saranno mai morte. Nessuno ha mai confuso la loro identità, sebbene siano state le uniche create per fingere di essere qualcos'altro. Il loro scopo è fingere la vita, ma di vitale non hanno mai sentito nulla, nemmeno amore, e, perciò, nemmeno invidia.
Forse, se sapessero di poter invecchiare, se sapessero di poter invidiare, se sapessero di poter morire, si sentirebbero almeno un pochino più vive.

Piccoli fiori in un vaso giallo - olio su tela, 30x40 cm
http://www.lagalleriadarte.com/spano/piccolifioriinvasogiallo-30x40-180.php

mercoledì 2 dicembre 2015

Sono quello che resta

Eccomi qui.
Sono quello che resta.
Io sono quello che resta,
quando il concerto rock è finito, il batterista ha regalato le sue bacchette, il pubblico si è defilato,
qualcuno ha pianto, qualcuno ha criticato l'acustica, qualcuno era distratto e cercava soltanto un modo per stare lontano.
Gli operai hanno spento le ultime luci, gli addetti alla sicurezza hanno terminato i controlli, sicuri che domani sarà giorno.
Sono quello che resta,
alla fine di una festa qualsiasi,
alla fine dei rituali per assicurarci che tutto vada bene,
alla fine dei dubbi, dei se, dei congiuntivi trascinati,
alla fine dei turni in fabbrica,
alla fine delle solitudini che riempiono stanze affollate
e al termine delle coperte a coprire chi in due si sente un po' più vivo.
Sono quello che resta,
dopo il terrore, l'assurdo, lo sdegno vestito d'abitudine,
l'attesa che qualcuno scriva una storia diversa, ogni anno, ogni secolo,
sono quello che resta alla fine di tutti gli uomini e tutte le donne che desiderano soltanto un po' di tenerezza,
e senso
e un non dover morire proprio,
perché non basta mai.
Sono quello che resta quando anche me stesso finisce,
quando di me si è detto eroe, vigliacco, stupido, intelligente, nero, rosso, poesie, normative, genio, polvere,
gli istanti dopo aver ricordato il dolore, gli istanti dopo essermi creduto felice.
Sono quello che resta,
quando il sole avrà smesso di tramontare,
e i giorni avranno perduto tutte le loro banali promesse,
quando la pioggia avrà smesso di cadere per trovare un pretesto per esistere, quando avremo bruciato le scatole utili per sopravvivere
e alzeremo un po' di più la voce, per chiamarci, per sentirci quello che resta.

Cardiopoetica

martedì 1 dicembre 2015

Babele

"In certi momenti era assalito dalla paura che la sua mente abbandonasse quella lotta disperata e sprofondasse nella babele che la circondava, o in una malinconia grigiastra e incerta."
(Epepe, Ferenc Karinthy)

sabato 28 novembre 2015

Farsi primavera

«Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo.
Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza.
Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno.
Farsi presenza, significa accettare il rischio dell’assenza».

(Il Piccolo Principe)

venerdì 27 novembre 2015

Dinanzi a sé un tempo infinito

E poter buttare via le notti, così..
Non rifugiarsi nel sonno,
non paura di fare tardi,
lasciare sorgere il sole,
pregustare dinanzi a sé un tempo infinito,
da non doversi angustiare.
(Il deserto dei tartari, D. Buzzati)
Foto di Sara Palmonari

giovedì 26 novembre 2015

Un perfetto signor Nessuno

Quell'uomo si è rivelato una nullità, - disse il dottor Schoenweiss. - Un perfetto signor Nessuno. Una maschera. Uno che si atteneva a tutte le regole del tempio. Una faccia allegra ogni venerdì a casa nostra. Ma dietro quella faccia, dietro quella maschera, chi c'era?
- Un perfetto Nessuno. - disse la signora Schoenweiss.

(D.F. Wallace)

Rami che la corrente porta via

Le mie lacrime si unirono al fiume.
La vita scorre, pensai.
Le persone galleggiano sulla cresta, come i rami che la corrente si porta via.
Siamo niente, anche se ci ostiniamo a non crederci. Solo rami...
(da "Julia", Bonelli Editore)
Foto di Sara Palmonari

domenica 15 novembre 2015

Siamo noi quei morti

Il torpore autunnale,
la tenerezza invernale,
nulla rimane.
Rimaniamo soli su questa terra,
dove neanche le stagioni vogliono stare.
Siamo figli illegittimi di un Novembre crudele,
nati morti imbalsamati
dal terrore che ci vogliono suscitare,
ricoperti da capo a piedi di polvere da sparo
che soffoca chi vuole scappare.
Quelle vite perse
quelle lontane, quelle vicine,
ci guardano,
dietro al vetro dell'ingiustizia,
ma noi abbiamo i piedi sporchi di fango,
siamo morti impantanati
figli dell'orrore che abbiamo alimentato.
Ci vorrebbe uno scroscio di pioggia
a distillare pace
col silenzio di chi ascolta
l'acqua che cade.
E invece c'è solo il frastuono di un dolore tagliente,
che fa smagliare il vestito di queste giornate abusate,
rarefatte e infinite,
tramortite, dal peso delle dita di mille grida,
che graffiano stridenti
in gola di centinaia di innocenti.
Vorrei contagiare il mondo con uno sbadiglio
renderci tutti vittime di un sonno letale
che perdoni
queste giornate
lacerate.

mercoledì 4 novembre 2015

La storia dei 30 pesciolini

La storia dei 30 pesciolini

La luce proietta benissimo l'ombra della mia mano sul muro a sinistra del letto.
La osservo nella sua nitidezza.
Il gesto di guardare il muro di fianco al letto mi ricorda la cameretta che avevo quando ero piccola. Sul muro alla sinistra del letto avevo una carta da parati con dei pesciolini in fila indiana. Tutta una lunga serie di pesciolini blu su sfondo giallo.
Mio padre veniva in camera mia per darmi la buona notte e contava i pesciolini fino a 30. Non ricordo perché 30. Forse mi aveva chiesto un numero a caso fino a cui contare, e io avevo scelto la data del mio compleanno.
Fatto sta che il gioco mi piaceva talmente che, dopo il muso del trentesimo pesciolino, avevo fatto un segno a biro, indispensabile per ricordare a mio padre che non poteva mica sbagliarsi e procedere oltre: doveva arrivare a 30 e stop. Era mio Padre, non si poteva mica accettare che si sbagliasse a contare, lui! Meglio prevenire e farci un segnetto.

Presto ho scordato il gioco dei pesciolini, ma il segno è rimasto.
Anni dopo, rivedendoli, mi erano sembrati meno numerosi di quello che ricordavo. Li avevo contati tutti in pochi secondi, superando la barriera del 30, ed ero arrivata a 97. Non nascondo di aver provato delusione nel realizzare che 30 pesciolini sono davvero pochi.
Mi sono chiesta come avessi potuto dare tanta importanza ad una striscia di carta da parati, per lo più così piccola. Era sbiadita e l'ho trovata davvero brutta. Le rimaneva attaccato soltanto il fascino che solo lo sguardo dei bambini può attribuire. Il fascino dell'apparente infinita numerosità di quei pesciolini, per una piccola Sara che aveva da poco imparato a contare. Chissà dove avremmo potuto arrivare se avessi cavalcato sulla groppa uno dei pesciolini e mi fossi lasciata trascinare dal flusso infinito. Forse in mondi marini lontani e misteriosi, come quelli dei sogni.
E allora mi sono anche chiesta se davvero questo gioco era stato un gioco abituale, della buonanotte, o se era successo una sola volta e il resto era tutta fantasia.
Mi sono chiesta se la "barriera" non fosse stata tracciata soltanto dopo la sparizione di mio padre dalla mia vita, in modo da sapere, grazie al segnetto, dove dovevo fermarmi nel contarmi i pesciolini da sola.
Non c'era gusto nel contarli da sola, né nel modo in cui me li contava mia madre.
Poi ho realizzato che erano come delle pecorelle che saltano lo steccato. Forse me ne bastavano 30 da bambina per finire spedita nel mondo marino misterioso dei sogni.
Ora ne servirebbero molti di più.. O forse no, se fosse di nuovo mio padre a contarli per me.

Ora gli occhi sono lucidi e più stanchi ancora. Stanchi di piangere. Stanchi di tracciare segni di biro ed ergere barriere per sapere dove fermarmi per non sentire la mancanza. La mancanza di tutto.
La mancanza di tutto ciò che si perde nel tempo.
Di tutto ciò che non vuole rimanere. Di tutto ciò che decide di andare. Di tutto ciò che si semina e non si raccoglie mai. Di tutto ciò che crolla e nessuno ricostruisce. Di ciò che si costruisce e poi si abbandona.

Così stanchi che, forse, per stavolta, anche 30 potrebbero bastare.
1 pesciolino.. 2 pesciolini.. 3, 4, 5, 6.....

lunedì 2 novembre 2015

Acqua

Tristezza limpida del sole che scorre
Una folata di buio ha aperto un varco
Ha rotto gli argini sul volto del tempo
E cosa esce ora, dalla paura del fiume?
Escono fiabe dipinte di rosse foglie autunnali,
Che volano via per perdersi lontano,
Unirsi al flusso di vita che scorre
Vita che scorre triste, insieme al sole
Lui, che è costretto dal tempo a partire per mondi distanti,
Si rispecchia un'ultima volta nel riflesso del letto del fiume
Insieme all'acqua può inondare ogni cosa
E navigare con bandiere levate ad addolorato addio
Acqua che trapela nelle parole e persino nei sogni
Anche quelli nati dal sonno della primavera stanca.

mercoledì 21 ottobre 2015

Stati dell'essere

"Anche solo per dimostrare che quei due stati dell'essere, apparentemente contrastanti - il dolore e la speranza - sono congiunti in eterno nella mia mente."

Da "Il caso Bellwether" di Benjamin Wood

domenica 18 ottobre 2015

Cronache dal Bagno #3

Avete mai fatto caso al rumore di fondo presente in una stanza al finire di ogni argomento di dialogo o di pensiero?
Quando si può percepire il tonfo delle parole che cadono sulla superficie delle cose e di esse rimangono solo invisibili vibrazioni sulla cresta dell'acqua nel bicchiere; quando ci si ritrova immersi negli imbrigliati circuiti di rielaborazione mentale di ciò che ognuno di noi custodisce segretamente tra le proprie idee; quando non si sente più nulla che non sia il proprio respiro?
Siete mai stati in silenzio a lungo in una stanza ad ascoltare questo rumore di fondo che si insinua tra le fessure di ogni dubbio?
Non so se sia il rumore della vita che scorre, o dell'universo che ruota; o della città di cui, irrimediabilmente, faccio parte; dell'aria che sposto nel respirare, o solo del sangue nella mia arteria carotide interna.
Oppure è il silenzio che non tace mai, il silenzio che non sa far altro che attendere un rumore e per questo lui stesso si trasforma in rumore.
Trovo però che questo tram-tram di fondo sia rassicurante come una dolce bugia, un dolce cullare la mia testa nella fluidità in cui sono immersa.
Forse si tratta solo del piacere che provo nel concentrarmi su qualcosa che, normalmente, considererei un'assenza e non una presenza, per poi trovarvici un senso e un'accettabile placidità d'animo. Abituarmi a concepire la soffice fertilità di qualcosa che pare sia solo in potenziale divenire, o in attesa di mutare, come invece un'entità a sé, già ricca di passione. Il silenzio non come assenza di suono, ma come presenza di un suono, diverso, più ottuso, confuso, quasi intimo, e profondo.

domenica 4 ottobre 2015

Cronache dal Bagno #2

Blu, verde, beige, bianco.

Blu piastrella sfumata. Blu riflesso nello specchio. Blu asciugamano. Blu tappeto. Blu plafoniera.
Adoro in particolare la piastrella blu romboidale, appiccicata là al bordo esterno della vasca: sembra una manta che sta per tuffarsi nella vasca.

Verde rana peluche di spugna. Verde piante tropicali appese al soffitto. Verde bottiglia di shampoo. Verde spazzolino.
E' bello avere tanti spazzolini quanti gli amici e le persone che capita rimangano a dormire. Verde famiglia.

Beige piastrella sfumata 2. Beige tappeto 2. Beige cane sul tappeto, che pazientemente aspetta che io la faccia finita con ste cronache e mi occupi delle sue crocchette. Beige mobiletto del bagno. Beige accappatoio. Beige paperella di ceramica che mi guarda dal muretto della vasca con aria interrogativa.
Mi chiedo che cosa sapranno poi di me, che io non so, quelle papere che silenziosamente ci osservano nella più intima quotidianità. Custodiscono la memoria di ciò che osservano in quel loro lungo collo?

Bianco lavandino. Bianco vasca. Bianco asciugamano 2. Bianco sapone. Bianco muro. Bianco carta igienica. Bianco bottiglia spray di anticalcare. Bianco calcare.
Calcare ovunque. Polvere e calcare. Forse anche io ho la stessa malattia. Sono impolverata e incrostata di calcare.

giovedì 1 ottobre 2015

Cronache dal Bagno #1

A volte, quando mi annoio, se posso, mi siedo e scrivo un elenco di 10 cose che non avevo notato del luogo in cui mi trovo. Senza censura.
Spesso diventano annotazioni molto divertenti o degne di nota a loro volta.
Così, ho deciso di fare una rubrica e rinominarla "Cronache dal Bagno".
Non l'ho chiamata così perché racconterà solo delle cose notate in bagno, ci saranno anche altri luoghi che descriverò in questa rubrica, ma il bagno è un simbolo della creatività. E' un vero e proprio Pensatoio, Pensateci (soprattutto se siete in bagno): che sia sul cesso o sotto la doccia, in bagno ne nascono sempre tante di idee creative.
Io credo moltissimo nel potere dei titoli. Un Titolo con la T maiuscola non deve far dimenticare le vere origini dell'idea che titoleggia, deve essere al centro, in grassetto, ben in evidenza, e rappresentativo dello spettacolo che sta per presentare.
Per questa ragione, il bagno merita di essere rimarcato nel titolo di questa rubrica, a ricordare sempre da dove tutto quanto sia nato.


Cronache dal Bagno #1

Quel vecchio dispenser di sapone è arruginito, ma nessuno lo butta via.
La sua sorte fu discussa mesi fa, quando, schiacciandolo, invece del sapone avevano cominciato ad uscire solo cigolii e imprecazioni per la problematicità che aveva raggiunto il lavarsi le mani.
Infine venne soltanto isolato, messo in quarantena, là, nell'angolo remoto della vasca.
Fino ad ora, che cosa ci ha trattenuto dal buttarlo?
Di quale saggezza è portatore per la quale sentiamo la necessità di mantenerlo presente nella nostra vita?
Quali emozioni rinchiude sotto quel metallo arruginito, che speriamo forse di tirare fuori, un giorno, strofinandolo energicamente?
Perché destinarlo a questa solitaria attesa del suo epilogo che avverrà in un sacco del pattume indifferenziato?
Ebbene credo infatti che non meriterà nemmeno il riciclo.
Il ricliclo è un'attività che richiede pazienza, attenzione, costanza e persino rispetto per l'oggetto che viene eliminato.
Invece, la triste fine del dispensa-cigolii-di-sapone avverrà, temo, in un momento di spazientimento, quando il nostro subconscio non sopporterà più di intravederlo con la coda dell'occhio là in disuso a prender polvere e reagirà fuori controllo, come è abituato a fare.
Ed ecco che già vedo il dispenser finire lanciato con rabbia in fondo ad un qualunque sacco grigio scuro, insieme ad assorbenti usati, fazzoletti strappati dal cane, spazzolini consumati e altri ignoti oggetti rifiutati.
Dispenser, te lo prometto: farò una Lapide al Rifiuto Ignoto.

Quello che stasera non cancello

A volte comincio a scrivere con: "Quello che sento di dire è".
Ogni volta me ne pento, al sorgere della prima domanda: ma io, davvero sento?
E poi lo cancello, al giungere della seconda: ma io, davvero dico?

Stasera non cancello.


Quello che sento di dire
è che è troppo tardi
a fine Settembre
per decidere di sentirsi di dire qualcosa.

Quello che sento di dire
è che tutto rimbomba,
nella tua ombra,
e nulla suona più come prima.
Quel violino, quel bambino
che piange e che suona,
è tutto sgonfio di rumore.

E poi ormai oggi è di nuovo Ottobre,
non mi rimane più aria per gonfiare i pensieri in parole.

Maledicano questo mese.
Maledicano questo freddo.
Maledicano le feste,
i libri,
i viali,
e le parole.
Maledicano
ogni nome che ti assomiglia,
e ogni giorno che ti risveglia
dentro me.

sabato 12 settembre 2015

Il nulla

"Se i corpi luminosi sono carichi d'incertezza,
non resta che affidarsi al buio,
alle regioni deserte del cielo.
Cosa può esserci di più stabile del nulla?"
(Palomar - Italo Calvino)


File:VanGogh-starry night ballance1.jpg
Notte stellata - Vincent Van Gogh

domenica 6 settembre 2015

La solitudine del dubbio

Il dubbio è un solitario molestatore di scelte.
È un giocoso solletico alle irrequietudini.
È un'amaca su cui si dondola la ragionevolezza della vita e su cui tremano le vertigini.
Il dubbio è immerso nelle onde delle alternative, ma nuota solo.
Va contro corrente, va contro gli scogli, ci sbatte e si fa male. Sempre.
Il dubbio è un dolore incompreso.

domenica 30 agosto 2015

Long nights

Long nights di Eddie Vedder
Colonna sonora di Into The Wild


Have no fear
For when I'm alone
I'll be better off
Than I was before

I've got this light

I'll be around to grow
Who I was before
I cannot recall

Long nights allow

Me to feel I'm falling
I am falling

The lights go out
Let me feel
I'm falling
I am falling safely to the ground

I'll take this soul

That's inside me now
Like a brand new friend
I'll forever know

I've got this life

And the will to show
I will always be
Better than before

Long nights allow

Me to feel I'm falling
I am falling

The lights go out

Let me feel
I'm falling
I am falling safely to the ground

mercoledì 26 agosto 2015

Oggi, sul treno

Oggi, in stazione ferroviaria a Modena, ho avuto il raro onore di assistere ad un evento antropologico che merita di essere annotato per la sua peculiarità: due esseri umani, sconosciuti, intenti a parlare.
Ho potuto notare i due esemplari già sul binario, nell'attesa che arrivasse il treno. E' evidente che io abbia avuto molta fortuna: i due adulti di umano si trovavano a pochi metri da me e sembra che non si siano spaventati nel vedermi, per cui ho potuto studiarli senza turbare il delicato equilibrio dell'evento.
Dopo un'attenta e precisa osservazione dei due soggetti, ho potuto finalmente attribuire loro una nazionalità, trovando una piacevole rassicurazione nel poter etichettare in qualche maniera i due strani esemplari. Un senegalese e una moldava.
Lui, giovane, nerissimo, alto, robusto, un po' gobbo, con due grandi occhioni teneri; lei, bionda, con la carnagione chiara e la pelle sottile, magra, bassa, con gli occhi azzurri, ben dritta sulle sue spalle. Due così, che mai diresti possano avere l'ardire di scambiare una parola l'uno con l'altro, invece te li trovi lì, intenti a chiaccherare vivacemente. Un dialogo, sì. E anche vivace, sì.
Un dialogo. A voce. Guardandosi in faccia.
Senza mai tirare fuori il cellulare dalla tasca nel tentativo di sfuggire dalla scomodità di una reale conversazione.
Due esseri umani che non si conoscevano, che si sono semplicemente trovati vicini su un binario ad aspettare il mio stesso treno, provenienti da paesi completamente opposti, lontani, con due lingue diverse, e tuttavia uniti da qualcosa che forse noi fatichiamo a comprendere: il sacrificio.
Ascoltando i loro racconti sui rispettivi paesi d'origine mi sono sentita fiera del mio di paese, la mia Italia, culla di una lingua che aveva dato la possibilità a due stranieri così stranieri di dialogare tra loro. Di scambiarsi opinioni. Di condividere idee ed emozioni che non hanno nazionalità, ma che ci accomunano tutti. Li ho trovati deliziosi. Lei, con un accento che, inizialmente, nella mia ignoranza, avevo ritenuto "russo-o-giù-di-lì", lui, con un accento "africano-o-una-roba-del-genere", che parlavano degli stessi ideali, come fossero una stessa pianta con due radici lontanissime nel pianeta, che si era ritrovata ad essere cresciuta tanto da poter fare intrecciare i rami della sua chioma proprio lì, sul mio treno, a Modena.
Ancora una volta, infatti, sono stata fortunata, perché i due esemplari si sono seduti nei sedili opposti ai miei. Così che da un lato c'ero io e un anonimo signore italiano (del tipo che indossa le catenine e i bracciali d'oro, visto che ci sta piacendo attribuire etichette), in silenzio, a evitare di guardarci in faccia, e, dall'altro lato, questa esplosione di sincera umanità che, nella diversità, ha trovato una direzione comune. Mentre il signore delle catene d'oro si dibatteva con la tendina del finestrino, svolazzante ribelle, e mi lanciava occhiate di sottecchi per capire se lo stessi deridendo per la sua vana battaglia, io ho avuto modo di ascoltare il discorso dei due (immigrati) a fianco.
Entrambi sono in Italia a lavorare per un solo motivo: la famiglia. Entrambi sono qui, soli, coi figli e la famiglia in un amato paese lontano; sono qui a racimolare soldi nella speranza di garantire un futuro migliore ai figli e forse un po' di serenità ai loro cari. Questa è la loro forza e traspare dalle loro parole. La vedi anche nei loro sguardi, vivi e lucidi ma con quel velo di distrazione in fondo in fondo, che fa presumere che il loro pensiero non sia lì, non sia nel presente, ma che sia lontano centinaia di kilometri nello spazio e nel tempo, e che il loro cuore sia stato temporaneamente lasciato altrove per continuare a nutrire con affetto le persone amate.

Noi cosa ne sappiamo di tutto questo? Cosa ne sappiamo del sacrificio per la famiglia? O della sincera felicità semplicemente nel possedere una casa, un lavoro e un piatto caldo? Cosa sappiamo noi dell'accontentarsi per accontentare qualcun'altro, a cui si vuole bene?
Mi sono sentita in colpa. Non è la prima volta che faccio queste riflessioni, chiaramente, ma mai mi sono sentita tanto in colpa a nome di tutta la mia generazione e di quelle venute dopo. Per le lamentele, per i falsi bisogni, per le finte necessità, per l'abbondanza di cose inutili di cui ci circondiamo, nel dimenticarci invece delle poche cose importanti che contano davvero.
Proprio ora che l'argomento immigrazione è tanto discusso in Europa, dovremmo accorgerci della ricchezza che possiamo trarre da queste persone, andando al di là dell'istintiva paura che ci provoca la loro diversità. Hanno tantissimo da insegnarci se solo noi siamo disposti ad ascoltare.

Quando è stato il momento di scendere dal treno, non è stato il Don Chisciotte della catenina d'oro ad aprirmi la porta, né è stato lui ad aiutarmi con la valigia.
Il ragazzo gobbo con gli occhi teneri mi ha aperto la porta dicendomi "Prego" con un gran sorriso che mi pareva quasi irreale e, poco dopo, la signora magra con gli occhi azzurri mi ha offerto un aiuto per sollevare la valigia nel scendere dal treno.
Ma Don Chisciotte l'ho giustificato: probabile che la lotta contro la tendina a vento lo deve aver sfinito, altrimenti è sicuro che mi avrebbe aiutato, visto che lui sì che è un normalissimo essere umano, bianco, italiano, che evita gli sguardi, che ti guarda di nascosto e che si sventola ferocemente la mano addosso lamentandosi del caldo e delle angherie di una tendina profondamente ingiusta.

venerdì 21 agosto 2015

Viandante

Tutto cambia, così in fretta,
In modo radicale,
Neanche fosse portato via dalla schiuma di un'onda,
La vita si ritira su se stessa,
Batte al riparo,
Rotola su un tavolo come un dado di legno
E non sai da che parte peserà la tua fortuna
Quale numero ti rimarrà da incolpare
O da ringraziare
Tutto cambia
Negli anni che a ricordarli sembrano attimi per il cuore
Due battiti e sei cresciuto
Due battiti e sei sparito
Tutto si muove e ondeggia
Tutto si mescola e muore
Ma noi ridiamo della morte e della paura
Solo finché non siamo lì e la guardiamo da lontano
Quasi a dire che non ci riguarda
Ma ci riguarda come la sete e come la fame
Allora tanto vale ridere,
Ridere di gusto per ogni nuovo sapore
Ogni nuovo liquore
Assaporare i momenti che ci ricorderemo domani
E che il domani ci ricorda di vivere
Guardo il mare che sussurra
"Non dimenticare
Io levigo
Io cancello i segni in superficie
Ma tutto si mescola nella mia schiuma
E tutto si deposita su un'altra riva"
E penso che sia davvero bello così
Tutto collegato
Da un'unica onda viandante
Che viaggia nel tempo
E annulla lo spazio

martedì 18 agosto 2015

Per il mio cane

Lottare per proteggerti
E vincere in tuo nome
Donare la parola ai tuoi gesti
Solo per saperti felice
Sentire i tuoi passi da vicino
Trovarti accanto a me al mattino
Bisbigliare ad una stella la paura di perderti
Chiederle sincerità
Convincere il vento ad asciugare i tuoi occhi ciechi e stanchi
Sorreggere gli sbagli nei tuoi passi
Credere nel perdurare eterno del tuo ricordo
Desiderarti sereno
E canticchiarti una ninna nanna
Osservare il tuo respiro da lontano
Scaldarti coi pensieri più felici che possiedo
Correre per te dentro un sogno
Senza paura,
stai senza paura,
che io sono qui per terra con te

mercoledì 12 agosto 2015

Il misterioso gioco degli echi


"...una voce umana, la quale parlava parlava: parole della nostra vita, che si era sempre a un filo dal capire e invece mai."

Da: Il deserto dei Tartari, Dino Buzzati

domenica 9 agosto 2015

Lezioni di vita da Stranalandia

Ogni Strano animaletto Stranalandese è un piccolo rappresentante dell'umanità e ognuno di essi ha qualcosa da insegnarci.
Grazie Stefano Benni.







E poi c'è il Frotz.

Il Frotz era troppo dolce per non essere incluso nella lista.

lunedì 3 agosto 2015

Dicembre e le cicale

La mia stanza è profumata.
Profuma di ammorbidente e di qualche fiore che non so riconoscere.
Sono le tende fresche di lavatura,
traspirano freschezza e quel senso di intimità e morbidezza che è, più tipicamente, invernale.
L'estivo canticchio delle cicale in sottofondo stona parecchio, in effetti.
Mi nascondo sotto le lenzuola,
spio l'aria e le luci che provengono da chissà dove e da chissà chi.
Mi sento sottile come un foglio di carta e ingombrante come lo stesso foglio, se lo accartocci,
e non trovo posto né posizione.
Ste cicale cos'hanno da cantare tutto il tempo se dentro di me le foglie ingiallite cadono stecchite?
Dovrebbero tacere e sintonizzarsi con questo senso di protezione che aleggia nell'aria,
quel senso che solo un piumone o le lucine di natale, di solito, sanno dare.
Invece no. Loro cantano, insensibili.
Mi ricordano che è Agosto al di là della mia volontà.
Mi ricordano che è Agosto ma che con la mia volontà posso ricreare il mio Dicembre ogni volta che lavo le tende.
Mica male:
Dicembre e le cicale.

venerdì 31 luglio 2015

Nodi

Credo in quell'eco lasciato a mezz'aria,
ci voglio credere.
Voglio credere alla voce calma,
agli sguardi lunghi,
al tempo sospeso nel traffico di una sera,
nella nebbia dei miei occhi e del mio cuore.
Voglio crederci, in questo caos che è rimasto dopo di te.
Voglio credere che sia tutto giusto,
che sia una primavera infinita,
senza fiori nell'aria,
solo quel venticello timido di Aprile,
che stana ogni passerotto e ogni emozione.
Voglio credere nello spazio a venire,
nei mattoni da impilare,
e in quel noioso muro da abbattere
che ci separa senza armi né braccia.
Ci credo nelle scarpe, che mi guidano da sole verso i tuoi lacci,
ci credo perché si annodano e non vogliono mollare.

domenica 19 luglio 2015

Domenica

Di fronte, un terrazzino silenzioso.
Un negozio di Cappelli chiuso. Si chiama "Cappelli".
Pietre grigie, anche loro senza fantasia.
Antenne storte sui tetti e impalcature.
I ricordi di Ottobre. Afa e dolore.
Parcheggi vuoti, senza auto sono solo pavimenti a strisce.
Donna al telefono, chissà di quali problemi racconta, chissà se qualche problema altrui lo ascolta.
Uno scivolo su cui farei volentieri giocare la mia vita e invece faccio solo scivolare la matita tra le dita.
Musica lontana. Una coppia di fronte a me guarda il proprio telefono senza parlare. Si può essere lontani anche se si sente la musica dalla stessa identica distanza.
Ho uno strano modo di tenermi compagnia (un taccuino e un po' di malinconia), ma la vita di domenica mi piace, è un assaggio del sapore della pace.
Un bimbo in bici che parla in bi-cinese. La cinetica dei bambini cinesi che usano i bicicli chiaccherando in cinese.
Alla fine mi piace stare qui da sola, avrei voglia di stare qui ancora, solo per osservare quello che sta per venire, solo per rallentare questo tempo che sembra essere sempre da scandire, in piccole gioie, piccole cose, grandi persone.
Sembra non esserci più nulla da dire, la domenica è solo una fuga dall'avvenire.

sabato 18 luglio 2015

Sound of silence

A volte vorrei essere cieca
solo per non guardare le persone, ma sentirle,
per avere qualcuno che legga insieme a me,
per avere un cane che mi aiuti ad attraversare la strada,
e per imparare a lasciarmi guidare.
Per sentire quei rumori e quegli odori a cui nessuno fa mai caso,
per sentire il suono del silenzio,
per sentire la luce del sole sulla pelle,
per non far caso ad un'ombra
e anche per poter dormire senza che nessuno se ne accorga.
Per dimenticarmi dei miei capelli,
per ricordarmi delle persone non per il loro aspetto, ma per il loro modo di stringere la mano,
per giudicare dalle parole e non dal modo di fare,
per imparare a comunicare col corpo e non con la voce,
per imparare a nuotare dritta senza seguire le bandierine...
Per vivere di musica e di lettura ad alta voce,
per ballare senza guardarmi allo specchio, solo specchiandomi nel ritmo.
A volte lo vorrei,
per non scegliere con gli occhi
ma con le emozioni,
per imparare a stare sola nel buio senza avere paura,
per riconoscere gli amici dal loro modo di fare rumore,
per volare senza temere il vuoto che mi attrae.
Mi mancherebbe la luna,
la bicicletta,
e il piacere di guidare in macchina per scoprire strade mai fatte.
Mi mancherebbero moltissimo i colori,
ma scoprirei un mondo dentro me stessa e dentro gli altri,
un mondo di note e di sapori
che vorrei essere più brava a godere.
Mi mancherebbe il cinema,
la meraviglia di una città illuminata dal sole al mattino,
il mercato di frutta e verdura diventerebbe un turbinio di profumi,
mi mancherebbe il luccichio del mare,
le mostre e i quadri famosi,
mi mancherebbe vedere il colore dell'erba (e l'attenzione a dove metto i piedi),
ma forse il mio tempo rallenterebbe
insieme alle lancette che non potrei più vedere.


giovedì 16 luglio 2015

Poesia per un'amica

Merito te.
Ti merito in un abbraccio al sapore di sale
che siano lacrime, o acqua di mare.
Mi meriti quando la macchina non parte,
ma rendiamo il viaggio un capolavoro d'arte.
Ti merito in un saluto troppo affrettato,
in un gesto mal pensato,
e nell'arrabbiarci insieme contro questo mondo malato.
Ti merito anche se non hai parole,
se hai il viso spento o un pessimo umore.
Ti merito in una bellissima rumorosa risata,
quando ti abbraccio anche se mi dici che sei troppo sudata,
e tu lo accetti comunque, perché manca sempre qualcuno che ti faccia sentire amata.
Ti merito nei momenti migliori come nei peggiori,
quando cerchi il senso in un mazzo di fiori,
così come quando trovi la forza dentro di te invece che fuori.
Mi meriti se ti accarezzo i capelli,
perché penso che siano davvero belli,
e ti tocca meritarlo anche se a te non piacciono.
Mi meriti quando tutti tacciono,
e tu ti senti sola,
quando nulla ti consola.
Voglio meritarti sempre
anche se non ho forze che sopravvivono
anche se il male e il bene si equivalgono
e finché le apparenze ingannano
io ci sarò per ricordarti il contrario
per accompagnarti al binario
per guardarti partire
e per farti guarire
da ogni dolore
da ogni cattivo sapore,
io ci sarò.

domenica 12 luglio 2015

Non c'è nessuno da avere

Il tempo di sentire un suono ottuso, e sono stata catapultata fuori dalla tempesta. A dire la verità, quasi sputata via, come un fastidioso pezzo, incastrato tra i denti degli ingranaggi di quella macchina furiosa che mi ha tempestato di fulmini, fino ad ora. Ora in cui mi ritrovo, galleggiante, in un mare blu rigonfio di pace e di aria lattiginosa. Sto comodamente sospesa su questa poltrona di aria, nel nulla.
Nel nulla di ciò che rimane. Non è rimasto tempo, non è rimasto luogo, non è rimasto suono. Mi accorgo che non sono rimaste nemmeno valigie; ho solo il mio bagaglio di ansia, gli occhi stracolmi di emozioni che vogliono regnare sovrane piovendo lacrime senza ritegno, le scarpe piene di errori che pungono quando cammino, i capelli annodati intorno alle parole di chi ho perso, un sapore di amaro in bocca per le favole che ho regalato e a cui non sono riuscita a credere, guance livide di botte, spalle curve sotto il peso delle insicurezze che mi trascino dietro, che pesano una tonnellata circa, se volete saperlo; un esile bastone che crede di darmi la sicurezza lungo la strada che percorro. E ora non è imasta neanche una strada. C'è solo uno zuccheroso nuvolotto di panna montata blu, che spero almeno attutisca i colpi delle mie sonore cadute. Non faccio che inciampare sotto i passi malfermi di questi piedi storti di cui mi vergogno persino qui, dove non ho nessuno. Dove non c'è nessuno da avere.
Mi sento stanca e sento che questo è il momento di riposare. Di lasciarmi qui, da sola, e andare in giro per i sogni un po' per conto mio, senza portarmi dietro sempre tutto quanto. Di capire dove posso arrivare, girando in tondo su questo pianeta buono, dove non ci si può perdere, perché tanto non è rimasto nulla da guadagnare.

venerdì 3 luglio 2015

Sottigliezze

Dallo spettacolo teatrale "URGE" di Alessandro Bergonzoni

"Stai colmo!
Questo mi sono detto nel fare voto di vastità, scavando il fosse, usando il confine tra sogno e bisogno (l’incubo è confonderli).
Come un intimatore di alt, come un battitore di ciglia che mette all’asta gli apostrofi delle palpebre, come l’inventore del cuscino anticalvizie o del transatlantico anti agressione, come chi è posseduto da sciamanesimo estatico, a suon di decibellezze da scorticanto, come giaguaro che diventa uno degli animali più lenti se in ascensore e come lumaca che diventa uno dei più veloci se in aereo, così tra tellurico e onirico, tra lo scoppio delle alte cariche dello stato (delle cose), tra me e me, in uno spazio da antipodi, in un limbo dell’imparadiso (infermo di mente più che fermo di mente), ho avuto un sentore: urge."

giovedì 2 luglio 2015

Quei diamanti

Perdersi dietro sottili equilibri
di vino
Vincere sconfitte temibili
accaparrate da freddi brividi marini
Senza ombra di merito
mi trascino il dubbio
senza il quale forse nemmeno esisterei
Forse esisteremmo entrambi
e, ancora,
questo finto supplizio
di non sorreggerti più..
Non ho mai celato nulla nelle mie mani
solo fragile poesia
Se le ho aperte in silenzio
ero in una stanza piena di rumori
Ho chiuso tutti gli armadi
nascosto le coperte
spento le lampade
soffiato la polvere
ma gli occhi non hanno mai visto
dentro il nuovo spazio
che ho creato
Prepararsi a scappare
in un tunnel di corda
L'agonia del credere di potercela fare
e poi scoprire di essere sola
Sospendi la notte
fatti silenzio
fatti muto giudizio
dell'universo e delle sue paure
Non corri più attraverso la mia amarezza
Rimani lì dietro porte di stelle vetrate
che hai costruito con diamanti
di una fonte a me sconosciuta
Martella e distruggila
Io sono lontana
Sempre stata troppo lontana

sabato 20 giugno 2015

Tempo

La novità di oggi era che ieri finisce tra poco
e io ancora sono sospesa nel dubbio di ciò che verrà domani
Corri troppo in fretta tempo in questi giorni in queste ore in queste frasi
e
a volte
invece
sembra
che vai troppo lento,
tempo...
Eppure non mi abituo mai ad abituarmi a te
hai un modo di fare che non so proprio capire
mi scivoli via sotto i piedi
e nemmeno so come faccio a non essere ancora caduta
e rotolata fino in fondo alla strada degli indecisi e chissà dove ancora
oltre i monti oltre il vento oltre il rullio di questi piedi sulla terra scura e sorda
che rimbomba mentre vado via per la mia via con la mia scia di convinzioni
di ambizioni.
Provo a mollare la presa ogni tanto e a vedere dove vado a sbattere il mento
e poi mi trovo col livido nero tutte le settimane
e mi sento un po' ammaccata e un po' avvilita
e un po' delusa e un po' contusa.
Maledetta me, maledetto te,
sono piena di speranze paurose di avvenire e di paure speranzose di sparire
di conflitti come tutti quanti
e di miscugli di fallimenti trionfanti
che mi hanno portato a lottare contro la mia stessa battaglia
Sono un cavaliere contro la sua stessa armatura,
tu sei il mio cavallo, la mia andatura.
Tempo, tempo,
parlo sempre di te negli ultimi tempi,
mi stai acchiappando per l'elastico delle mutande
perché non mi lasci fare la viandante in cerca di amore furfante
Pensa anche a me, tempo,
pensa alla mia libertà di essere lentamente lenta
di essere nel dubbio di una vita intera
e di volerlo sciogliere subito
neanche fosse uno scoglio ruvido
Sei il mio cruciverba e il mio regalo più grande
la soluzione sta nelle caselle nere
solitarie e insicure riflettono solo la luce più scura
dicendo che lì con loro non ci si può stare
sono troppo profonde e amare
le accoglierò nel novero dei miei modi di fare
chi ha paura di perdercisi dentro
ci potrà solo girare attorno

venerdì 12 giugno 2015

Il bambino e l'elefante

Falko One's picture

Il bambino e l'elefante
Corrono sulle ali delle montagne,
suonano la buonanotte,
illuminano le stelle,
brillando di fantasia.
Disegnano ombre sulla sabbia,
bussano alla porta dell'impossibile
e si portano oltre il visibile.
Al di là di ogni convinzione segreta,
senza avere un'ora prestabilita.
Crescono nelle sfumature della vita,
viaggiano nei colori delle nuvole
e chissà dove li porterà..
Abbracciati e felici
si troveranno disegnati
su un muro di chissà quale città.

mercoledì 3 giugno 2015

La mia voce e lo zucchero

Chissà dove sei perso
tra la nebbia, tra i monti
tra il blu di quell'eco che ti ha portato via
È da quelle parti anche la mia voce
risuona nel vuoto del ricordo
di una valigia strapiena appoggiata sulla porta
rimbalza sotto i tuoi piedi
e tu la calpesti ma neanche lo sai
Fingo che tu ci sia intorno
fingo che ci sarà un ritorno
almeno la valigia
almeno lei potresti riportarla
anche vuota se vuoi
te la riempio io
di cose da metterci ne ho finché vuoi
parole amore ricordi domande abbracci che non mi dai mai
Andremmo da qualche parte insieme
come due sfollati in cerca di tempo
senza nessun luogo senza nessuna ora
Ci porteremmo un po' di zucchero
giusto per addolcire questo viaggio di solitudine
ascolteresti la mia voce
la mia storia che scrivo con ogni passo di danza
su questa musica silenziosa
che tu dimentichi di insegnarmi a suonare
Sei tu che mi hai insegnato a contare
e, sai, purtroppo ora lo so fare
direi fin troppo bene
perché posso contare ogni giorno che tu non ci sei
ogni occasione che tu non crei
ogni scalino che mi allontana da te
ogni successo che tu non vuoi
ogni paura che mi fai
La mia voce è intrappolata nella tua gola
senza te non vola
E sogno l'aria gonfia sotto le ali che mi spinge via
senza il motore del tuo amore
Eppure io sono forte e volerò
senza voce
ma volerò
sorvolerò i tetti che abbiamo abitato
non guarderò indietro
non guarderò avanti
guarderò lo spazio
guarderò le cose che mi circondano
guarderò dentro di me
e trasformerò le mie paure in correnti d'aria che mi terranno lassù
e magari ti troverò nel blu

domenica 17 maggio 2015

Che poi dipende di cos'hai bisogno

"Che poi dipende di cos'hai bisogno
Non lo sanno in molti, sai
Dipende di cosa si ha bisogno
Io sì
Non sono un mago
Anzi
Sono un lestofante
Ma ascolto
Quasi nessuno
L'hai notato?
Che tutti parlano
Nessuno ascolta
Quante parole
Quante poche orecchie
Dove finiscono tutte queste parole in eccesso?
C'è un luogo?
C'è un cimitero di parole inascoltate?
Un inceneritore?
Le affogano nel mare?
Le seppelliscono?
Le fanno a pezzi?
Diventano monnezza tra le stelle?
Con me le tue parole non van perse
O almeno credo
Mi piace di pensarlo
Mi piace di ascoltarti
Mi piace che mi ascolti
Mi piace di capire di capirti
Mi piace di pensare di sapere
Di cosa
Mai
Tu abbia
Bisogno"

Dal libro: Piuttosto che morire m'ammazzo

venerdì 15 maggio 2015

Il rumore del mio umore

Non mi ero mai accorta
Di quanto gli alberi facciano rumore
Mossi dal vento
Se li lasci cantare
Fanno casino come il mio umore
Se lo stai ad ascoltare

mercoledì 6 maggio 2015

Solletico

Un solletico sotto ai piedi che mi ricorda i brividi di ogni mia singola emozione come se ognuna di esse ne avesse uno diverso, come fossero corde di un pianoforte che ne fanno vibrare i tasti e non i tasti a far vibrare le corde, sei così per me, un solletico leggero e silenzioso che non fa ridere né piangere ma solo pizzicare le note di una melodia sconosciuta a tutti che nessuno può sentire perché trema solo dentro me e nelle mie gambe che non riescono a stare ferme ma devono tamburellare perché vorrebbero scappare dalla paura che tutto quanto crolli se continuo a tremare e se continuo a sentire tutte queste emozioni febbricitanti di paura e di terrore perché tutto si scuote, tutto mi scuote, tu sei così per me.

giovedì 30 aprile 2015

Sotto la pelle

"Un amore che non rischia niente,
ma che si mantiene vivo come una goccia di miele,
una risorsa sotterranea."
(A. Munro)

Un amore che si sente sotto la pelle,
che scalda e che rinforza,
che pizzica e che fa stare accesi.

Un amore che ha una paura folle di se stesso,
ma che è fonte inesauribile di coraggio.

Un amore che non può essere detto,
ma che si può solo ascoltare.

sabato 25 aprile 2015

Liberi di ricordare

Occhi, tutti quegli occhi gialli
Senza pelle senza acqua
ti fissano in mezzo al nulla di ciò che è loro rimasto
Qualche braccio alzato ad indicare il sole
Il resto, fermo.
Non si muovono,
Bloccati dal silenzio dei passi che non possono fare verso la libertà
Verso quel futuro che gli è stato troncato
Hanno solo i loro occhi
con cui sono costretti a vedere
Lo spazio derubato che non possono più avere
Il sole nascosto che non li scalda più
Ma che, comunque, brilla nei loro occhi gialli,
Vibra nella luce del loro sguardo
Finché forse non si spegnerà in un ultimo sospiro
riaccendendo la loro libertà.

Museo al Deportato Carpi

giovedì 9 aprile 2015

Sono diventata parte dei miei sogni

Ribollo nei miei pensieri
Finché ogni mia molecola non si è divisa,
Finché non torno atomo,
Finché nel sogno sono una bomba atomica
E scoppio sopra le vostre teste,
A forma di fungo pazzo,
Che si schiaccia su di sé,
Fino a tornare un fil di fumo
Sottile come il filo della lama che cerca di uccidermi mentre scappo
Mentre corro da te e non arrivo mai
Contro il tempo di una vita che scorre e mi fa perdere il mare
Mi fa vedere il male
Senza pensare che così bene non ci vedo per poter dire se fa bene o male vedere la morte e poi guarire
A volte vorrei solo morire
Per non dover soltanto sognare il tuo viso che mi dice che non smette di pensare
A me
A me
A me: quel fungo impazzito gonfio dentro al cielo
Che sbuffa per paura di cadere così in fretta
Su un mondo gelido senza criteri
Su un mondo torrido pieno di crateri
Erutto sangue e fango raccolto giù per le strade
Vomito amore trasformatosi in odio
Sul podio del mio dolore
Se c'è un senso a questa gara lo scoprirò.
Chiudo gli occhi e
Ti sognerò.

giovedì 19 marzo 2015

Diciannove Marzo, Ore Diciannove e Zerotre

Oggi mi chiedevo
perché avessi tanto in testa il tuo viso,
il tuo nome
e il dolore che riguarda te.
Ci sono arrivata solo ora,
alle 19:03,
dopo 12 ore esatte che sono sveglia
e che non faccio altro che altalenare i miei pensieri tra te e qualcosa per cacciarti via dalla mia testa.
Qualsiasi cosa, davvero.
Non era una difficile intuizione: oggi è la festa del papà.
Complimenti Sara, davvero brillante.
Oggi ti ho davvero visto dappertutto.
La tua macchina in tutte le strade,
in tutti i parcheggi,
in un incidente,
in una rotonda,
al bivio laggiù,
quello per girare per casa tua.
Ti ho udito,
nelle voci di uomini sconosciuti,
nelle canzoni alla radio,
nell'abbaiare di un cane,
che sembrava proprio il tuo,
di cane,
(ma potresti anche aver cominciato ad abbaiare, che non lo saprei).
Ti ho sentito,
ti ho sentito
vicino,
e non so come,
visto che il mio corpo ormai sa
che sei,
comunque,
sempre
lontano.
Ma ti ho sentito
abbracciarmi,
pur sapendo che non c'eri,
che non ci sei mai,
che ci sei stato poco
e che non credo ci sarai.
Ma ti ho voluto,
almeno quanto ho desiderato mandarti via per sempre.
Tutto in un solo giorno.
Anzi,
a dire la verità,
tutto in un istante,
ripetuto mille volte in 12 ore.
Un cocktail emotivo micidiale,
lo bevi tutto di un getto,
ti accorgi dopo che sbando ti dà.
Non manca giorno in cui non mi chieda dove sei,
cosa pensi,
cosa fai
e perché non mi stai cercando.
Perché non sei qui.
Non manca volta in cui,
passeggiando per strada,
non desideri incontrarti
accidentalmente,
o forse,
proprio molto, molto volontariamente.
Non passa soddisfazione che non vorrei condividere con te,
per sapere cosa ne diresti di quello che sono diventata
e per insultarti
se non mi dicessi che sei fiero di me.
Ma tu non lo diresti,
perché non sei fiero nemmeno di te.
Non scrivo per farti gli auguri,
papà.
Sono anni che non te li faccio e sono anni che non me li chiedi.
Non so neanche se mai mi leggerai.
E nemmeno ti scrivo per sapere come stai,
perché non ho voglia di ricordare ancora
che tu stai bene anche senza di me.
Scrivo perché, magari, domani,
20 Marzo,
forse,
alle ore 20:03,
non ci penserò più.

mercoledì 11 marzo 2015

Fase asimmetrica

Da leggersi lentamente preferibilmente entro la cornice asimmetrica del vostro sguardo

Stamattina mi sono guardata,
e ho visto dei solchi,
in corrispondenza dei sorrisi che non ti posso dare.
Stamattina mi sono mossa
di una lentezza ritmica a quei battiti soffocati dalla distanza,
e intanto
mi sono letta nel sangue,
veramente convinta di trovare un legame.

Sono uscita e mi sono promessa
di lasciare che i miei sentimenti si approprino di me,
quali che vogliano essere.

Mi sono chiesta:
ma dietro quegli occhiali come si vede la nostra asimmetria?
Mi sono detta
se il rapporto pende da una parte, allora forse devo raddrizzarmi io,
alzarmi in piedi,
e andare via.

Oggi il dolore mi impediva di parlare
di te, di te, mio piccolo tesoro,
forse perché anche tu sei ancora senza parole.
Oggi mi sono capita:
la mia me bambina se ne sta andando,
a passi lenti, con fatica,
mentre lascia il posto a te.
Oggi mi sono abbracciata
sapendo che non sei tu, piccino, a doverlo fare.

E tuttavia,
oggi mi sono amata,
quando ho sentito tutto l'amore che posso provare per te.

sabato 24 gennaio 2015

Comare Morte

Un pover'uomo aveva dodici figli e doveva lavorare giorno e notte per poter procurare loro soltanto il pane. Quando venne al mondo il tredicesimo, non sapendo più cosa fare, corse sulla strada per pregare il primo che incontrasse di fare da padrino. Il primo che incontrò fu il buon Dio. Il buon Dio già sapeva cosa gli pesava sul cuore e gli disse: "Pover'uomo, mi fai pena: terrò a battesimo il tuo bambino e provvederò perché‚ sia felice sulla terra." - "Chi sei?" domandò l'uomo. "Sono il buon Dio." - "Allora non ti voglio per compare, perché‚ dai ai ricchi e fai patire ai poveri la fame." Così parlò l'uomo poiché‚ non sapeva con quanta saggezza Iddio dispensi ricchezza e povertà. Volse così le spalle al Signore e proseguì. Gli si avvicinò il diavolo e disse: "Cosa cerchi? Se sarò padrino di tuo figlio, gli darò oro e tutti i piaceri del mondo." L'uomo domandò: "Chi sei?" - "Sono il diavolo." - "Allora non ti voglio per compare: tu inganni gli uomini per sedurli," disse l'uomo, e proseguì. Gli venne incontro la Morte e gli disse: "Prendimi per comare" - "Chi sei?" domandò l'uomo. "Sono la Morte, che fa tutti uguali." Allora l'uomo disse: "Tu sei giusta: prendi sia il ricco sia il povero senza fare differenze; sarai la mia comare." La Morte rispose: "Farò diventare tuo figlio ricco e famoso; chi mi ha per amica, non manca di nulla." Disse l'uomo: "Domenica prossima c'è il battesimo: sii puntuale." La Morte comparve come aveva promesso e fece da madrina al piccolo. © 2015 grimmstories.com
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Quando il ragazzo fu adulto, un bel giorno la comare lo prese con s‚, lo portò nel bosco e, quando furono soli, gli disse: "Ora avrai il mio regalo di battesimo. Farò di te un medico famoso. Quando sarai chiamato al letto di un ammalato, ti apparirò ogni volta: se mi vedrai ai piedi del letto, puoi dire francamente che lo risanerai; gli darai un'erba che ti indicherò e guarirà; ma se mi vedi al capezzale dell'infermo, allora è mio e dovrai dire che ogni rimedio è inutile e che deve morire." Poi la Morte gli indicò l'erba miracolosa e gli disse: "Guardati dall'usarla contro il mio volere." © 2015 grimmstories.com
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Ben presto il giovane divenne famoso in tutto il mondo. "Gli basta guardare l'ammalato per capire se guarirà o se deve morire." Così si diceva di lui e la gente accorreva da ogni parte per condurlo dagli ammalati e gli davano tanto oro quanto egli chiedeva, cosicché‚ in poco tempo divenne un uomo ricco. Ora avvenne che anche il re si ammalò, e mandarono a chiamare il medico perché‚ dicesse se doveva morire. Ma quand'egli si avvicinò al letto, vide che la Morte si trovava al capezzale dell'ammalato: non vi era più erba che giovasse. Ma il medico pensò: "Forse per una volta posso ingannare la Morte, e dato che è la mia madrina, non se l'avrà poi tanto a male!" Così prese il re e lo voltò di modo che la Morte venne a trovarsi ai suoi piedi; poi gli diede l'erba e il re si riebbe e guarì. Ma la Morte andò dal medico adirata e con la faccia scura gli disse: "Per questa volta te la passo perché‚ sono la tua madrina, ma se ti azzardi a ingannarmi ancora una volta, ne andrà della tua stessa vita!" © 2015 grimmstories.com
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Non molto tempo dopo si ammalò la principessa e nessuno riusciva e guarirla. Il re piangeva giorno e notte da non vederci più; infine fece sapere che chiunque la salvasse dalla morte, sarebbe diventato il suo sposo e l'erede della corona. Quando il medico giunse al letto dell'ammalata, vide la Morte al suo capezzale. Ma pensò alla promessa del re e inoltre la principessa era così bella che egli dimenticò l'ammonimento e, anche se la Morte gli lanciava terribili occhiate, voltò l'ammalata mettendole la testa al posto dei piedi e le diede l'erba, cosicché‚ ella tornò in vita. © 2015 grimmstories.com
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Ma la Morte, vedendosi defraudata per la seconda volta di ciò che le spettava, andò dal medico e disse: "Seguimi!" lo afferrò con la sua mano di ghiaccio e lo condusse in una caverna sotterranea, ove si trovavano migliaia e migliaia di luci a perdita d'occhio. Alcune erano grandi, altre medie, altre ancora piccole. A ogni istante alcune si spegnevano e altre si accendevano, di modo che le fiammelle sembravano saltellare qua e là. "Vedi," disse la Morte, "queste luci sono le vite degli uomini. Le più alte sono dei bambini, le medie dei coniugi nel fiore degli anni, le piccole dei vecchi. Ma a volte anche i bambini e giovani hanno soltanto una piccola candelina. Quando si spegne, la loro vita è alla fine ed essi mi appartengono." Il medico disse: "Mostrami la mia." Allora la Morte gli indicò un moccoletto piccolo piccolo che minacciava di spegnersi e disse: "Eccola!" Allora il medico si spaventò e disse: "Ah, cara madrina, accendetene un'altra perché‚ possa godere la mia vita, diventando re e sposo della bella principessa!" - "Non posso," rispose la Morte, "deve spegnersi una candela prima che se ne accenda un'altra." - "Allora mettete quella vecchia su di una nuova, che arda subito quando l'altra è finita," supplicò il medico. Allora la Morte finse di esaudire il suo desiderio, e prese una grande candela nuova. Ma, nel congiungerle, sbagliò volutamente, poiché‚ voleva vendicarsi, e il moccolo cadde e si spense. Subito il medico stramazzò a terra: anch'egli era caduto nelle mani della Morte.
(Fratelli Grimm)

Comare Morte
Il mio lavoro è bellissimo.
Il mio lavoro è bellissimo perché lo sforzo non sta nell'eliminare la morte, ma sta nel cambiare la posizione rispetto ad essa.
Il mio lavoro è bellissimo perché lo sforzo non sta nel togliere la malattia, ma nell'insegnare a viverci insieme.
Il mio lavoro è bellissimo perché devo trovare la Luce dove sembra esserci solo Ombra.