martedì 28 giugno 2016

Ganci

"Nella vita a volte viene il momento in cui brutto e bello svolgono più o meno la stessa funzione, quando tutto ciò che guardi non è che un gancio a cui appendere le sensazioni scomposte del corpo, e i brandelli della mente."

(A. Munro)


Internazionale: Raccontare la morte non è semplice nemmeno in Libia

di Khalifa Abo Khraisse, 21/06/16

Certamente vi sarà capitato di assistere a un incidente automobilistico, ma avete mai osservato la folla?
Ci sono quelli che aiutano, i buoni samaritani che si precipitano a dare una mano in ogni incidente. Ci sono quelli che se ne stanno lì a guardare e a dispiacersi per le vittime. E poi ci sono anche quelli che, veri prodotti di questa epoca, non si vergognano a fare un video e a condividerlo con qualche commento stupido tipo: “Oddio, farò tardi a lavoro perché queste persone hanno scelto di morire nel posto sbagliato nel momento sbagliato e mi hanno bloccato la strada”.
Ma il peggio del peggio sono gli ipocriti egocentrici che misurano l’entità di ogni disastro in base all’impatto che avrà sulle loro vite e che osservano le vittime per vedere se corrispondono al loro profilo di vittime di cui preoccuparsi: ci sono animali feriti nell’incidente? Niente animali, ok, allora non m’importa. Ci sono vittime abbastanza bianche da meritare compassione? No, ok, allora non è un mio problema, in un certo senso è colpa loro, è sempre colpa loro, perché sono ignoranti, hanno una religione diversa e appartengono a un’etnia diversa.
C’è però una cosa che tutti quelli che osservano un incidente hanno in comune, e cioè un senso di sollievo: non sono io, non è la mia gente, non sta succedendo a me, queste cose succedono sempre a qualcun altro.
Forse penserete che il fatto di essere libico mi garantisca un posto in prima fila per assistere a eventi drammatici. Sono ormai un esperto di morte, ma mi sento ancora confuso e senza punti di riferimento ogni volta che mi ci imbatto.
Continuo a tenere il conto delle persone che muoiono nella battaglia contro il gruppo Stato islamico (Is) a Sirte: fino a oggi sono 177. Ho scritto i loro nomi fino al 137°, poi non sono più riuscito a farlo.
Il mio amico Husin era il numero 55. Si era sposato solo tre mesi prima di morire. L’ultima volta che gli ho scattato una foto è stato durante una festa nel 2013, rideva e si metteva in posa davanti all’obiettivo. L’ultima volta che l’ho visto dal vivo risale a un anno fa. Non ci ho passato molto tempo insieme e lo rimpiango, così come rimpiango di non essere stato al suo matrimonio. So che in ospedale ci hanno messo un giorno interno per identificare i suoi resti. So molte cose, ma non abbastanza.
Come si può scrivere di una persona intera in poche frasi? Come posso ridurre tutto ciò che era a poche righe? Come ci riescono gli altri? Come trovano quelle frasi scolpite nella roccia? E come diavolo facciamo a sommarle facendole diventare numeri? Solo numeri, numeri quotidiani? Questi numeri non vi diranno come rideva; il suo modo di ridere mi ha sempre fatto ridere tantissimo, più delle sue battute. Come potrà questo numero anche solo cominciare a spiegarvi che grande uomo fosse?
Vorrei aver conosciuto tutti i 177 libici morti combattendo contro l’Is. Conosco solo i loro nomi, so che erano libici, che avevano speranze e sogni e sì, erano musulmani. Perciò ditemi ancora: perché i musulmani combattono contro l’Is e perché l’Is uccide i musulmani?
Questa settimana 12 uomini sono stati giustiziati in stile mafioso e i loro cadaveri sono stati scaricati a Tripoli. Erano stati rilasciati dal carcere di Al Ruwaimi, dove erano rinchiusi dal 2011 con varie accuse, poiché avevano lavorato con il passato regime. [...]
Quella stessa settimana un caro amico di mio padre è morto di infarto. Era l’ultimo dei suoi amici più cari, gli voleva molto bene, era come uno zio per me. L’ultima volta che l’ho visto risale a pochi mesi fa. Sono felice di averlo abbracciato e di aver avuto la possibilità di esprimergli tutta la mia gratitudine per essere parte della mia vita. Me lo ricordo sempre accanto me: quando mio padre ha avuto un terribile incidente e ci ha messo tanto tempo a guarire, ai matrimoni delle mie due sorelle e al funerale dei miei zii e di tutti i miei cugini.
Era una brava persona, un uomo per bene che aveva prestato servizio nell’esercito ed era andato in pensione in modo limpido e con orgoglio. Ma sapete cos’è che mi ha fatto davvero piangere? Mi sentivo così triste perché in un modo o nell’altro ero sollevato all’idea che fosse morto di infarto e non assassinato o ucciso da proiettili vaganti. Quel pensiero mi ha spezzato il cuore proprio quando pensavo che non potesse essere più spezzato di così. Quello, e il fatto che non si è mai davvero cresciuti, in un certo senso si è ancora bambini, fino al giorno in cui si vede piangere il proprio padre: in quel momento si rompe qualcosa dentro e non si è più gli stessi.
Sono stati rari i momenti in cui mio padre si è aperto e ha mostrato le sue emozioni, e non dimenticherò mai quando mi ha detto: “Era l’ultimo amico che mi restava in vita, adesso sono solo”. Volevo dire a mio padre che è stato fortunato, perché avevano trascorso insieme tutta una vita, perché erano riusciti a vedere i rispettivi figli. Volevo dirli che avrei scambiato tutta questa rivoluzione, l’avrei restituita e sarei tornato alla situazione di prima se questo mi avesse restituito anche un solo amico, anche solo per un altro giorno.
Non so davvero come funzioni il lutto: pensi di essere forte abbastanza, l’hai già visto, ti aspetti che le cose che succedono a te e intorno a te ti cambieranno in un modo o nell’altro, pensi che tutto questo renderà immune il tuo cuore. Be’, in effetti mi hanno cambiato: mi hanno reso più vulnerabile.
[...]
Per l'articolo intero: http://google.com/newsstand/s/CBIw6eD80yU

mercoledì 15 giugno 2016

giovedì 9 giugno 2016

Virtue

"Virtue is more to be feared than vice, because its excesses are not subject to the regulation of conscience."

(Adam Smith)