martedì 31 gennaio 2012

Il piano salva-nervi.

Il perdono è un bene di lusso che scarseggia sempre di più, o forse è a casa mia che c'è poco smercio.
Fatto sta che l'offerta diminuisce, ma la domanda cresce tutti i giorni, a causa dell'andamento esponenziale del numero di torti subiti, tradimenti, e prese per il culo varie. Dunque, per valide ragioni, il costo della mia capacità di perdono non può che aumentare, considerando che, coi tempi che corrono, il 20% (quantomeno) finirà tutto in tasse: 10% allo stress, 5% al tempo sprecato per calmarsi, 3% al tempo sprecato per trovare una soluzione invece che procedere con l'omicidio, 2% ai liquidi persi in lacrime. Purtroppo resta ben poco.
Vorrei un piano salva-nervi... ma, probabilmente, anche questo sarà al di là delle mie disponibilità finanziarie.


P.S. Davvero si può dare un prezzo ad ogni cosa?

Noi, (a volte anche) italiani.

"Dite che siamo chiacchieroni. Vero. Aggiungerei: pessimi ascoltatori, interessati soltanto al suono della propria voce. Ricordo il suggerimento di un conduttore televisivo ai suoi ospiti: “Non parlate mai più di due per volta.”
Di bell’aspetto e maniaci della moda. Qui bisogna intendersi. Certo, rispetto alla media europea ci sentiamo ancora degli elegantoni. Il calzino bianco da noi è perseguito per legge, specie quando è indossato sotto un sandalo. Se considerare i vestiti un messaggio del corpo, e non un contenitore per insaccati, è sintomo di “mania”, allora siamo maniaci. Ma non pericolosi e purtroppo neanche contagiosi. Sul latin lover, mi duole dirvi che state prendendo un abbaglio anagrafico. In Italia la propensione al sesso cresce con l’età. Da giovani si fa col contagocce (anche per questo mettiamo al mondo pochi figli) mentre dopo i 50 il maschio italico si tuffa finalmente nell’adolescenza. Siamo l’unica nazione al mondo ad avere avuto un presidente del consiglio settantenne con la bandana in testa come i tennisti e i cantanti rap. Sono soddisfazioni.

Non è vero che nessuno paga le tasse. I dipendenti e i pensionati le pagano fin all’ultimo cent. Non per senso civico, ma per mancanza di alternative. Noi non abbiamo il senso dello Stato. E’ lo Stato che ci fa senso. La comunità finisce sulla soglia di casa. Già lo zerbino è terra di nessuno, non vi dico le scale condominiali o i marciapiedi. Siamo patria solo da un secolo e mezzo. Per duemila anni abbiamo dovuto inginocchiarci a decine di invasori, ovviamente cercando sempre di fregarli. Ci siamo difesi chiudendoci nel privato e considerando un usurpatore, o comunque un estraneo, tutto ciò che sapeva d’autorità.

Individualisti? In realtà sappiamo fare squadra in condizioni di emergenza. A noi la normale amministrazione annoia. Ma nelle situazioni disperate ci avvolgiamo nel nostro mantello preferito, quello della vittima, e tiriamo fuori la specialità della casa: la mossa del cavallo. Sulla scacchiera europea tutte le pedine si muovono in orizzontale e in verticale. Solo il cavallo italiano riesce a spuntare là dove nessuno lo aspetta. Non siamo coraggiosi, ma scaltri. La nostra filosofia di vita è il contropiede, e non solo nel calcio. Ogni volta che siamo partiti all’attacco, dalla battaglia di Canne contro Annibale alla dichiarazione di guerra di Mussolini, siamo stati ridicolizzati. Ma quando retrocediamo a difesa della nostra porta (la famiglia, il “particulare”), allora riusciamo a estrarre da noi stessi dosi di resistenza e sacrificio imprevedibili. Moralmente ipocriti? La cultura cattolica di cui siamo impregnati ci rende tolleranti verso il peccato, specie se siamo noi a commetterlo. Nessuno al mondo si pente così bene come gli italiani.

Il nostro peggior difetto, lo avrete intuito leggendo questo articolo, è il compiacimento. Nessuno parla male del proprio Paese come noi, ma solo perché ci consideriamo talmente fortunati a essere nati qui che possiamo permetterci qualsiasi lusso: anche di sputare su quella fortuna."


Questo è l'articolo su La Stampa del 26/01/2012 di Massimo Gramellini. Trovo che sia divertente, e inoltre che dipinga un quadro perfettamente lucido (altrimenti non sarebbe firmato Gramellini) della realtà italiana.
Ho deciso di riportarlo, perché ritengo che solo prendendo coscienza dei nostri limiti potremo poi superarli. Siamo un popolo di "lamentosi questuanti", come dice sempre mia madre: uomini che devono fare domanda per qualsiasi diritto e che si lamentano per qualsiasi dovere; bravissimi a criticare, pessimi nell'autoanalisi. Divulgo allora questo messaggio fortemente autocritico nella speranza che qualcuno lo legga, ci rifletta e ne discuta, che sia o meno d'accordo.

L'articolo originale lo trovate qui: http://www3.lastampa.it/focus/europa/sezioni/europa-dei-luoghi-comuni/articolo/lstp/439891/

sabato 28 gennaio 2012

Francesca

Ho sentito la tua voce, al bar.
Hello there, the angel from my nightmare.
Ti ho detto cose inutili.
Tu invece, tra le cose inutili, hai aggiunto una cosa dal profondo del cuore, come se volessi parlarne con qualcuno. Non so se era il desiderio inconscio di liberarti di quel peso proprio con me, o semplicemente di liberartene.
Ho sofferto per te: ho sentito una fitta al petto, come se ci fossi stata io lì, a dirti che la mia famiglia era andata in pezzi.
Mi ricordo quanto eri dimagrita. Eri diventata filiforme, quasi volessi sparire, per non soffrire più.
Solo che, in piccola parte, o in una parte che non so davvero quanto sia grande per te, è stata anche colpa mia. Io ti ho ferita. Io ho pensato solo a me stessa, e ti ho ferita.
Non mi perdonerò mai.

Ho sentito la terra tremare.
Where are you? and I’m so sorry..
Dove sei?
Vorrei incontrarti ancora.
Farti capire dai miei occhi che mi dispiace.
Will you come home and stop this pain tonight?
Tu non ci sei. E’ troppo tardi. Arrivo sempre troppo tardi.

Ho sentito una canzone, alla radio, poco dopo.
Don’t waste your time on me you’re already the voice inside my head
I miss you, Blink 182.
Mi faceva pensare ai tempi in cui la cantavo con voi a scuola.
E poi, lo speaker alla radio: “Grazie a Francesca, che dedica questa canzone ad una sua amica, che le è stata vicina in un momento molto difficile”.
Rido tra me e me, piangendo. Più che altro piango tra me e me, abbozzando un sorriso. Non sono io, mi dico. E' impossibile. Io NON ti sono stata vicina. Io ti ho abbandonato in un momento difficile.
Non c’ero quando avevi bisogno, solo perché pensavo di non avere bisogno io di te.
Di errori ne ho fatti davvero tanti.
Perderti è l’unico che non riesco a giustificare.
Miss you, miss you.

giovedì 26 gennaio 2012

Fusi orari

Adoro guardare i fusi orari. Vedere che ora è nel resto del mondo è come viaggiare; è un filo sottile che mi tiene attaccata al mondo e ai miei sogni. Immagino la vita in quei posti, la luce per strada, cerco di immaginare le persone che vi ho conosciuto, cosa potrebbero fare.
Tutto questo mi fa sentire estremamente piccola, un po' come un puntino alla fine di una frase, che conosce abbastanza bene soltanto le lettere che lo affiancano. Di quelle più lontane non può nemmeno immaginare l'esistenza, né può immaginare il significato della frase di cui è parte. Solo un punticino che sogna di rimbalzare qua e là, curioso.
Osservare quella lista di orari per me è come avere di fronte un ventaglio di possibilità così colorato da far girare la testa. Di quei colori rimane nella mente un orizzonte sfumato, indefinito, un misto tra amarezza e inquietudine. Non è amaro non poter conoscere tutto ciò che sai essere alla tua portata? Non è inquietante l'idea di essere solo un punticino, che in realtà ha ben poche cose alla sua portata?

Nonostante tutto, penso anche sia sbagliato provare inquietudine, pensare alla vita come un'amara rassegnazione. Forse diventare adulti significa anche accettare di dover scegliere soltanto una fetta del ventaglio. Non è possibile vagliare ogni possibilità, il futuro è sfuggente, e noi siamo troppo minuti per abbracciare la sua infinita molteplicità. Siamo tanti puntini, ognuno vive il proprio tempo, il proprio presente, diverso per ciascuno di noi; costruiamo le nostre frasi, scriviamo una storia; questo non è un limite. La mia lista di orari, anche lei non è un limite: mi ha permesso di immaginare tutto ciò che non conosco, e mi ha rimesso in pace con il mio compito nel mondo. Mi ricorda, ogni volta che la guardo, che non sono sola, che il mondo ha bisogno di me, come io di tutti gli altri; mi ricorda di quanto contino le mie piccole azioni. Mi ricorda il senso di tutto quanto.

martedì 24 gennaio 2012

Primo post (fa quasi paura...)

Diciamo che tempo fa pensavo che soltanto un perpetuo silenzio mi avrebbe fatto sentire più ascoltata. L'incomprensione per il mio tacere, pensavo, avrebbe scatenato nuove attenzioni nei miei confronti. Cercavo comprensione senza avere il coraggio di ammetterlo. Non ho ottenuto molto, ma soprattutto, non l'ho ottenuto dall'unica persona che volevo mi ascoltasse.
Ora ho il bisogno di scrivere tutto quello che a parole non sono riuscita a spiegare, i dubbi che ho raccolto, i sogni che ho vissuto e tutta questa rabbia che non so come sfogare. Non è più solo bisogno di essere ascoltata,  ma di ascoltarmi, di ascoltare, e di raccontarlo.